covid-19 scuola come luogo di contagio

Covid-19 scuola è un luogo di contagio?

Da mesi, politici, esperti e virologi se con l’aumento dei casi di Covid-19 scuola sia un luogo sicuro e privo di contagi.

Abbiamo visto che già con il nuovo DPCM la stretta delle misure contenitive ha già iniziato a investire la scuola, ma si tratta di misure troppo restrittive oppure sono adeguate?

Purtroppo ad oggi non esiste con certezza un’evidenza scientifica che possa confermare il binomio covid-19 scuola e aumento della curva epidemiologica e apertura della scuola e né una che possa smentirlo.

Per realizzare un’analisi completa infatti mancano importanti dati scientifici. Il monitoraggio messo a punto dal Ministero dell’Istruzione, partito con l’apertura scolastica è stato attualmente sospeso per effetto dell’aumento esponenziale. Pertanto non è più possibile tracciare un profilo né realizzare un’analisi completa per ottenere un quadro complessivo della situazione.

Ciò che però possiamo fare è analizzare i dati relativi ai contagi attuali, nelle varie fasce d’età per provare a capirne di più.

Un articolo pubblicato sul giornale il “Tempo mostra proprio questi dati e conclude che la popolazione tra 0 e 19 anni è quella in cui questi sono cresciuti di più, quasi il doppio rispetto alla fascia 20-29 anni. Da qui la conclusione che la scuola è la causa dell’aumento dei contagi e che quindi vada chiusa.

Tuttavia Antonella Viola, insieme a Enrico Bucci, in un articolo del sito Orizzonte scuola provano a spiegare questi dati e perchè questa conclusione sia sbagliata:

Covid-19 scuola e contagi: l’analisi corretta dei dati

“Il primo problema che salta agli occhi è che si mettono a confronto solo due punti temporali, il 25 agosto e il 7 novembre. Cosa sia accaduto in questo periodo non è dato sapere. Nel senso che non sappiamo se l’aumento dei contagi sia avvenuto costantemente o abbia subito un balzo con la riapertura delle scuole. Per rispondere a questa domanda serve un’analisi nel tempo, con più punti. Per dirla con un esempio: se molti bambini fossero stati sottoposti al test in massa prima di iniziare la scuola, questo aumenterebbe i numeri del contagio, ma noi non lo possiamo sapere perché abbiamo soltanto quei due punti temporali”, scrivono Viola e Bucci.

“Un altro difetto importante di questa analisi sta nel fatto che i contagi non sono rapportati alla numerosità della popolazione globale di quelle fasce di età. Il confronto che si propone non significa nulla finché non viene prima corretto su questi numeri. Ancora: si chiama “differenza” quello che in realtà è un rapporto, cioè nessuna differenza ma il rapporto che si ottiene dividendo i casi presenti al 7 novembre per quelli presenti al 25 agosto”

Se calcoliamo la vera differenza tra i casi rilevati nelle due date e la dividiamo per la popolazione di quelle fasce di età, otteniamo un risultato affidabile, perché tiene effettivamente conto dell’incremento dei contagi per numero di persone. E questo risultato, usando gli stessi dati dai quali parte l’articolo in questione, indica che la popolazione scolastica non si è infettata più delle altre.

Sulla base di questi dati, quindi, contestiamo l’affermazione “la popolazione scolastica è stata il motore del virus” – perché non sostenuta da un’analisi statistica rigorosa. Così come la richiesta di chiusura delle scuole in quanto fonte principale di contagio. I dati indicano che la popolazione scolastica non è esente dal contagio, cosa che sarebbe impossibile, ma che non ha avuto un ruolo primario nell’esplosione di casi a cui assistiamo da settimane. Invece che lanciarsi in crociate contro la scuola, per altro essenziale per la salute attuale e futura dei nostri ragazzi, sarebbe meglio identificare strategie per metterla in sicurezza”,